Nuove BR: di nuovo c’è poco…

febbraio 18, 2007

Le BR non sono mai scomparse, questa è l’inquietante verità che emerge dalla vicenda degli arresti di Padova.

Molti degli arrestati hanno radici terroristiche che risalgono agli anni ’70 e ’80, alcuni di essi risultano coinvolti, direttamente o indirettamente, a vari fatti di sangue, compreso il sequestro e l’omicidio di Aldo Moro.  Se si esaminano gli ultimi 25 anni di storia del terrorismo in Italia, non è possibile ignorare il filo logico che lega i fatti di allora a quelli di oggi, passando attraverso gli omicidi D’Antona e Biagi.

Parlare di “Nuove Brigate Rosse”, quindi, ha poco senso: i nomi si riaffacciano, e anche i brodi di coltura sono sempre gli stessi: molti arrestati erano delegati della CGIL e frequentavano vari “centri sociali”.

Dopo gli arresti sono apparsi i volantini di sostegno (quattro arresti: ma sono già tutti liberi… quand’è che si parlerà di tolleranza zero anche per i terroristi? Chi deve morire ancora?) e persino gli striscioni esibiti durante la “pacifica” manifestazione a Vicenza contro la base americana.

Ma c’è di peggio. Nei “centri sociali” e tra i vari “disobbedienti” circola da un lato il sostegno alle nuove BR, dall’altro la disinformazione che cerca di sostenere che le BR e l’omicidio Moro siano stati opera della CIA. Addirittura c’è chi scrive che gli arresti di Padova siano una strana coincidenza con la manifestazione di Vicenza, a voler insinuare che si tratta di arresti effettuati solo per influenzare l’opinione pubblica. Un esempio: l’articolo di Marco Cedolin su SocialPress.

Disinformazione pura: gli striscioni di Vicenza sfilavano in una manifestazione anti-americana, e i Kalashnikov e le Skorpio di Padova erano armi vere, così come lo sono state le dichiarazioni di chi si è proclamato “prigioniero politico” al momento dell’arresto.

Ma lo scopo di persone come Marco Cedolin è quello di “montare” i giovani contro lo Stato e contro le Istituzioni, di insinuare il dubbio che il terrorismo non esiste e se esiste è terrorismo di Stato. Quei giovani, che frequentano i centri sociali e studiano nei licei e nelle università, ce li ritroviamo di fronte nelle manifestazioni e nelle proteste.

Non è un caso che le scritte contro la Polizia e contro Filippo Raciti, apparse dopo la tragedia di Catania, tracciassero parallelismi con i fatti di Genova e con la morte di Carlo Giuliani.

Abbiamo decine di ex (?) terroristi liberi in Italia; decine al sicuro in Francia; centri sociali e ambienti sindacali in cui si cova l’odio e la violenza contro le Istituzioni; scritte sui muri; volantini, striscioni; giornalisti e parlamentari che istigano studenti, disadattati e lavoratori; ex (?) terroristi scrivono sui giornali e siedono in Parlamento; aule parlamentari e vie cittadine sono intitolate a chi ha cercato di uccidere e colpire gli appartenenti alle forze dell’ordine.

Che garanzie abbiamo che questa gente non approfitti anche dei disordini agli stadi per portare i propri attacchi contro la Polizia e contro le altre forze dell’ordine? 

Il rischio per le nostre vite e per lo Stato democratico non è rappresentato solo dal facinoroso allo stadio o dal terrorista con la mitraglietta: il vero rischio è questa diffusione di idee eversive ed estremiste che si allarga a macchia d’olio in tutti gli strati della società,  e che punta a un’inversione dei ruoli, dove le Istituzioni sono il nemico e chi le combatte è amico del popolo.

Quanti morti ci vorranno prima che il Paese prenda coscienza di questo rischio?